Alberto Durante fa i conti con l’Alzheimer e con una vita che gli chiede indietro, pezzo per pezzo, tutto quello che s’è guadagnato. Diventa grande nel suo paese piccolo, Alberto. Lo fa balbettando, nel continuo confronto col fratello minore e più sicuro di sé, si rifugia nelle parole, nei libri di Anna e nei suoi occhi grandi in cui si perde.
Ha una bella strada segnata dal padre capomastro, ma se ne allontana per trovare il vero sé stesso e diventare uno dei tanti ferrovieri emigrati nella grande città, testimone e protagonista di un’Italia che cambia marcia nel dopoguerra.
Costretto a tornare al paese, ecco il valzer delle badanti che non stanno dietro alla sua voglia di camminare, i libri in cui il filo si perde, gli inciampi, i sussulti e la leggerezza di un passato che è sempre presente. In tutta questa confusione, combatte a colpi di passi la condanna del dimenticare.
S’aggrappa alle emozioni della sua storia, che rivive tutta nell’arco di ventiquattr’ore. Salta sui treni in corsa che vanno fuori dai binari della malattia. E si sente ancora vivo, in questo giorno che sarebbe un peccato non raccontare.