La chiesa di Santa Maria in Categne, nel cuore di Lugnano,
nella teca di un altare impreziosito dagli stucchi custodisce gelosamente la statua eburnea della Madonna del fiore, pregevolissimo esempio dell’arte gotica d’oltralpe.
Si tratta di un pregevolissimo manufatto dalle notevoli dimensioni, eseguita con perizia e raffinatezza da un ignoto artista di ascendenza francese nell’ultimo quarto del XIII secolo, capace di armonizzare la raffigurazione della Vergine con il Bambino Gesù sfruttando al meglio la caratteristica curvatura della zanna d’elefante.
Le forme allungate dell’agile figuretta sono impreziosite dal ricco manto dalle pieghe ordinate, capace di valorizzare l’evidente sproporzione delle membra.
Il fitto panneggio delle vesti è esaltato dalla decorazione policroma della ricca bordura che alterna forme geometriche e dettagli floreali.
Il volto della Vergine, dai lineamenti finissimi, incorniciato da un’ordinata capigliatura trattenuta dalla tiara che sostiene il velo, è connotato dalla fissità ieratica dello sguardo rivolto verso la contemplazione dell’infinito.
La figuretta del Bambino Gesù, il cui visetto è modellato secondo la convenzionale concezione del puer senex, è ingentilita dal gesto infantile della mano destra che poggia sul seno della madre mentre protende la sinistra, goffa e sproporzionata, verso il fiore che Maria tiene a sua volta in mano.
La mano sinistra è palesemente un’aggiunta, risultato di un maldestro risarcimento di un danno avvenuto nei secoli successivi.
Le scarne fonti documentarie non ne conservano memoria.
In verità, solo nel corso del XVII secolo gli Atti di Sacra Visita del vescovo Francesco Giangirolami registrano la presenza della statua d’avorio ancora presso la chiesa di Santa Croce a Lugnano: «visitavit altare unicum a cornu evangelii competenter provisum. Pro Icone habet simulacrum B. Mariæ del Fiore sinistro brachio Christum infantem gestantis ad vivam effigiem, quæ est valde devota, celebris et insignis; existit intus Armarium deauratum sculpta mirifico opere ex dente elephantis».
La tradizione, accreditata intorno alla metà del XX secolo da uno scritto di Ugo Valeri, riconduce la presenza della pregevole statua duecentesca alle vicende della famiglia Quirini, originaria di Lugnano, che avrebbe rivestito un ruolo di prim’ordine nella fondazione per sinecismo della terra murata di Cittaducale tornando poi nei luoghi d’origine per scampare alla peste del 1363.
Nel suo scritto lo studioso, nipote di don Domenico Valeri che dal 1931 al 1949 era stato parroco di Vazia, faceva riferimento ad un manoscritto dell’archivio parrocchiale – purtroppo smarrito – secondo il quale proprio nel 1363 i Quirini avrebbero portato a Lugnano la Madonna del Fiore, collocandola presso la chiesa di Santa Croce.
L’ipotesi non fu raccolta da Cesare Verani che anzi già nel 1958 ridimensionava il ruolo avuto dai Quirini nella vicenda che lega indissolubilmente a Lugnano la sua Madonna.
Secondo lo storico dell’arte, troppo oscuro era il casato lugnanese dei Quirini perché potessero offrire a Carlo il ciotto servigi così rilevanti da dover essere risarciti mediante l’assegnazione di un dono di siffatto pregio.
Pur escludendo la proprietà della statua eburnea, i Quirini ne furono presumibilmente i depositari, o più probabilmente i santesi, fino ad avere parte attiva nella consegna del prezioso manufatto alla chiesa abbaziale di Santa Croce, antica filiazione dell’Abbazia benedettina di Farfa che al tramonto del medioevo disponeva di ingenti possedimenti nell’area dell’Appennino mediano, fino alle coste dell’Adriatico.
La data del 1363 resta plausibile per la traslazione della Madonna del Fiore dalla chiesa di Santa Croce di Cittaducale alla chiesa dello stesso titolo a Lugnano, a sigillo del processo di fondazione per sinecismo che mezzo secolo prima aveva impegnato i castelli ai confini del Regno di Napoli, impegnati nel presidio della via della lana che ricalcando l’itinerario dell’antica consolare Salaria collegava le aree interne dell’Appennino con i grandi centri di lavorazione e di smercio.
A cura di Ileana Tozzi.