Palazzo Vincentini si affaccia su uno dei panorami più suggestivi della città. L’ariosa loggia dalle colonne abbinate secondo la lezione manierista di Sebastiano Serlio fu concepita dall’architetto milanese Giovanni Domenico Bianchi, attivo tra Umbria e Sabina al servizio di casa Cesi fino alla seconda decade del XVII secolo, come la specula da cui lo sguardo poteva spaziare sui tetti delle Valli, digradanti fino alle sponde del Velino, volgendosi poi ad osservare il profilo verdeggiante delle colline che fanno da chiostra alla città, appena intercalato dalle bianche chiese dei conventi francescani, i Cappuccini di San Mauro all’estremo oriente, e via via gli Osservanti di Sant’Antonio del Monte, i Frati Minori di Fonte Colombo ad occidente.
Il giardino all’italiana, quasi un giardino pensile sospeso sul popoloso rione delle Valli, circoscritto da un alto muraglione che ne celava le delizie allo sguardo dei passanti, conferiva ancor più il gusto dell’hortus conclusus alla residenza signorile dei Vincentini che sul finire del Cinquecento avevano acquisito dagli ultimi eredi dei signori di Piediluco l’antica casa Poiana, retaggio della città medievale costellata di case/torri.
Erroneamente la bella loggia è detta del Vignola, visto che Jacopo Barozzi pure attivo e documentato a Rieti intorno alla metà del Cinquecento era già morto da una quindicina d’anni quando Marcantonio Vincentini acquistò la casa Poiana per farne la sua residenza.
Certo l’architetto Giovanni Domenico Bianchi ben s’innesta con la sua progettazione di monumentali palazzi e raffinatissime ville nel solco della tradizione architettonica vignolesca, ma è proprio la loggia di palazzo Vincentini a costituire la sua personalissima cifra distintiva, simile com’è al maestoso loggiato del palazzo Cesi Camuccini che fu eretto a Cantalupo per il cardinale Pier Donato Cesi, inglobando i resti della rocca dei Savelli. A cura di Ileana Tozzi
Dalla loggia di Palazzo Vincentini
Interno del Giardino