Nel 1746, papa Benedetto XIV affidò la parrocchia reatina di San Rufo ai Chierici Regolari Ministri degli Infermi, membri della Congregazione fondata nel 1584 da San Camillo de’Lellis, impegnati nell’organizzazione del vicino ospedale.
I Chierici Regolari ricostruirono ex novo la chiesa secondo lo stile del tempo: la linearità sobria della facciata, rigorosa .nelle linee ed essenziale nei volumi, corrisponde con felice contrasto agli interni di un elegante gusto rococò ed armonizza con l’austero complesso medievale circostante.
Il progetto della ricostruzione fu affidato all’architetto romano Melchiorre Passalacqua, che compì l’opera in poco più di un decennio: il vescovo De Carli poté infatti riconsacrare solennemente la chiesa il 3 maggio 1760.
Della primitiva costruzione vennero conservati la cripta ed il campanile, incardinato alla nuova struttura mediante l’archetto a tutt’oggi esistente.
All’antico titolo di San Ruffo e Carpoforo martiri fu aggiunto da monsignor De Carli il titolo di San Camillo de Lellis, come attesta l’epigrafe che commemora la consacrazione:
D.O.M.M. CAIETANUS DE CARLIS COMAC.EPUS.REAT. ECCL.AM HANC
IN HONOR S.CAMILLI AC SS.M.M. RUPHI ET CARPOPHORI V.NON.MAI
AN. 1760 CONSECRAVIT EIUS TAMEN MEMORIAM XIII KAL.NOV.
CELEBR. MANDAVIT CC.R.R. MINISTRANTES INFIRMIS POSUERE.
A San Camillo de Lellis fu dedicato l’altar maggiore, impreziosito da una tela del Subleyras, raffigurante L’estasi di San Camillo.
Ma l’opera più significativa dal punto di vista storico-artistico presso la chiesa di San Rufo è senza dubbio la tela raffigurante l’Angelo Custode, collocata presso il primo altare di sinistra: all’interno delle ampie volute della cornice, si stagliano su un denso fondale le figure dell’Arcangelo e di Tobiolo, fuse in un protettivo abbraccio.
Il dipinto, citato nei registri della chiesa di San Rufo fin dal 1618, è stato di volta in volta attribuito al Caravaggio o alla sua scuola, secondo il parere di illustri critici e storici dell’arte quali il Guardabassi, il Magni, il Venturi. Il Longhi vi individuò lo stile di Orazio Gentileschi. Recentemente, si è formulata la più convincente attribuzione dell’opera a Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino.
Della chiesa vanno ancora notati gli originali arredi interni, frutto di un’attenta, coerente opera di progettazione: i quattro coretti rococò che si sovrappongono ai più austeri confessionali sono, insieme con la maestosa cantoria lignea, il risultato del lavoro di anonimi maestri intagliatori, che seppero interpretare intorno alla metà del XVIII secolo il senso ed il significato di una religiosità nuova, che i committenti della chiesa intendevano proporre e testimoniare.
Le stanze della sagrestia infine furono dipinte sul finire del XIX secolo da Antonino Calcagnadoro, che vi propose originali motivi decorativi, realizzando raffinati mosaici a trompe-l’-oeil.
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