Il santuario di San Felice all’Acqua non è parte integrante del Cammino di Francesco, di cui ricalca un tratto: in verità la piccola, linda chiesina dall’ampio sagrato è stata per secoli ed è ancora la meta privilegiata da parte dei devoti di San Felice da Cantalice, primo santo della congregazione dei Cappuccini.
Nato nel castello in terra di Regno nel 1513, vissuto fino ai trenta anni di età a Cittaducale come garzone alle dipendenze di un possidente di nome Marco Tullio Picchi, entrò in religione presso la comunità civitese di Santa Maria del Monte prima di intraprendere nel 1574 la sua azione di conforto e guida spirituale nelle strade affollate di Roma.
Il 18 maggio 1587 l’umile cercatore nacque al cielo, canonizzato il 22 maggio 1712 da papa Clemente XI.
San Felice da Cantalice fu questuante, incolto ed umile secondo i suoi carismi che pure bastarono a dimostrare la santa vita da lui praticata. San Filippo Neri e San Carlo Borromeo non disdegnarono di confessarsi con lui, ne ebbe in buon concetto Sisto V che ne aveva preconizzato il papato.
Per i contadini della piana, fu dunque un privilegio assumere come loro protettore un Santo locale, che aveva sperimentato le fatiche della vita dei campi. In settembre, così, si partiva all’alba con i fagotti e i fiaschi da mettere in fresco, rigorosamente confessati, si partecipava alla Messa e poi al conforto spirituale si univa il riposo all’ombra del portico, sull’erba verde del sagrato.
Negli anni Venti del Novecento, il giovane scrittore Venanzio Varano della Vergiliana descriveva un inusuale pellegrinaggio notturno da Santa Maria della Foresta fino a San Felice all’Acqua, guidato da un vecchio che procedeva curvo ma fiero, innanzi a tutti nella penombra della notte, salmodiando devotamente nel poco latino imparato alla dottrina.
La pagina del saggio La Valle Santa – Rieti pubblicato da Vallecchi nel 1923, in vista dei festeggiamenti francescani del VII centenario, ricapitola in sintesi gli aspetti architettonici e storico-artistici del santuario rivelandone i caratteri folklorici: «su di un piccolo piazzale posto alquanto al disotto della sommità dei colli Il Cappellaro e Le Macchiole è eretta una chiesa semplice, non molto vasta, ad una sola navata. All’esterno, lungo la fiancheggiata sinistra, è stato costruito da recentissimo tempo un portico; poco discosti sono allineati varii casolari congiunti un con l’altro. Di un cannello, infisso nel muro della chiesa, sgorga un getto perenne, d’acqua venerata; una langa conca la raccoglie e all’occorrenza si fa riempire, e vi si immergono i malati trascinatisi in pio voto fin lassù. A destra, lungo la fiancheggiata della chiesa, prosegue la via, e c’è come un piazzale a semiarco, con nel mezzo una croce, alberato torno torno; luogo di riposo e di fermata per le bestie stanche, ed anche talora per i pellegrini numerosi.
L’interno del Santuario è semplice e nulla offre di speciale osservazione. Con vivo stupore, allorquando giunsi su quell’ignoto sito, scorsi numerosi pellegrini seduti, chi sul parapeto della piazzetta, chi sotto il portico, chi sulla soglia della chiesa, ed un mormorio di preci si udiva nel Santuario. Ne varcai la soglia ed entrai; le pareti della chiesa erano tutte ricoperte di ritratti, di voti, di offerte per grazie ricevute, di cenci, di brandelli di vesti, di cappelli; tutto lasciato colà a testimonianza del miracolo ricevuto. Tutte le immagini che l’umanità sofferente possa lasciare come più veritiero attestato di guarigione del suo male occulto e palese. E questa fioritura era invero rigogliosa e innumerevole, era invero sconfinata e meravigliosa».
Dopo cento anni, benché la chiesa rurale di San Felice all’Acqua sia spogliata dai cimeli votivi, vi si respira un’aura di straordinaria spiritualità, capace di dare requie alle fatiche ed ai dolori.
A cura di Ileana Tozzi.